Riporto alcuni stralci dell’intervista per Caterina significativi per immergersi nel climax del mio lavoro.
“I primi giorni – quando ancora potevo andare a camminare – sono stati piuttosto destabilizzanti. Paradossalmente io sono costantemente alla ricerca di quel Tempo che improvvisamente si è palesato di fronte a me in tutta la sua prepotenza …. ma, ahimè, anche in tutto il suo essere un Tempo malato, insano, rumoroso, perché denso di bla bla dei giornalisti che come sanguisughe si sono attaccati a questo nuovo giocattolo: non pare vero di avere a disposizione una preda tanto appetitosa infischiandosene dell’effetto che procurano le notizie porte in un certo modo!!
Allora ho tentato di privilegiare il Silenzio ma anche il silenzio di queste giornate è molto rumoroso perché irreale per chi, come me vive in un centro cittadino improvvisamente immobile, dove il rumore del silenzio è rotto esclusivamente dagli altoparlanti della polizia che invitano a restare in casa: non più l’arrotino di ben nota memoria (….) ma la polizia – e dico la polizia – che mi invita, o meglio mi intima, di restare in casa.
Sfido chiunque a restare indifferente a tutto questo!!
Poi ci si abitua, ebbene sì, ci si abitua a tutto: del resto mai come in queste ore mi sono tornati alla mente i racconti di mio padre che giovanissimo, in tempo di guerra, stette nascosto sottoterra con un drappello di amici per più di due mesi, riemergendo solo in tarda notte, grazie alla protezione di una donna loro amica. E le sue parole non sottendevano mai atti di eroismo, né particolari drammi ma un dato di fatto narrato con il sorriso sulle labbra.
Col trascorrere dei giorni hanno cominciato ad affacciarsi le regole, una sorta di disciplina che ho tentato di adottare in tempo di coronavirus; questo tempo sospeso è un straordinario esercizio eccezionale. (….)
Tengo un diario figurato e ogni giorno compongo una o più pagine. (….)
Questa infausta circostanza impone una seria riflessione sull’importanza del proprio comfort e sul valore della Bellezza.
La solitudine ti stressa? Come riesci a superarla? Cosa ti manca di più in questa situazione emergenza e restrizione di spostamento?
Non è la solitudine a stressarmi, anche perché non sono sola e sono sempre stata una accanita “coltivatrice” di solitudine!!!! Mi affligge la limitazione della libertà, tanto più perché non pienamente condivisa nelle scelte adottate dal governo. Inguaribile ribelle quale sono e sono sempre stata, tendo a trasgredire qualsiasi imposizione se non condivisa fino in fondo: questo è il vero stress!
Non sono nostalgica, no. Certo, mentre rifletto, chiusa dentro casa, seduta al mio tavolo, in quest’ambiente che mi fa sentire al sicuro come nessun altro posto al mondo, penso che mi mancheranno delle cose: ogni giorno con noi stessi senza distrazione di sorta. A fare i conti con la noia, la paura e la solitudine.
Alterno momenti di ottimismo – tratto distintivo del mio carattere – ad attimi di pessimismo cosmico; una preoccupazione profonda per l’economia del paese ma anche per le mie finanze inevitabilmente compromesse dalla perdita di una serie di commesse venute meno nelle settimane successive allo scoppio della pandemia si sovrappone ad una sorta di perversa curiosità sullo scenario post Covid-19.
Anche la paura, quella vera che non avevo mai provato prima, è venuta a trovarmi un giorno; dapprima mi sono coperta il volto ma dopo il primo smarrimento l’ho guardata in faccia, perché so che la paura uccide la mente, che la paura è la piccola morte che porta con sé l’annullamento totale. Oggi mi sento una piccola donna immersa dentro una condizione di monachesimo intercontinentale, una condizione che ha travalicato i confini determinando la fine della città così come è stata concepita ed è evoluta nel XX secolo e l’esperienza traumatica che ne deriva impone una seria riformulazione dell’ecologia, ovvero è la NATURA l’habitat che ci ospita e oggi ci sentiamo non più padroni deterministi di ciò che è buono e ciò che è molesto per la configurazione dello spazio così come lo volevamo noi ma i molesti – quell’erba infestante che abbiamo sradicato dai nostri parchi decidendone arbitrariamente la natura molesta – siamo noi.
E allora sento ora più che mai l’esigenza di studiare, studiare e ancora studiare, approfittando di quel religioso e forzato silenzio e isolamento. Vorrei fare tesoro delle mie riflessioni traducendo in materia i miei pensieri, elaborando nuovi progetti artistici, ma anche nuove strategie per un futuro più adeguato …. sembra una frase fatta ma è proprio così!”